lunedì 31 ottobre 2011

Leave my body.

L’acqua assume la forma del recipiente che la contiene, ma conserva il suo volume. Quante forme ho assunto io, da quella che si nascondeva sotto strati di falsa indifferenza, a quella che aveva la primavera sulle labbra e l’autunno nel cuore.
E il mio volume, al contrario di quello dell’acqua, muta continuamente, per contenere a sua volta altri volumi, altre superfici, altri perimetri.
In questo gioco di scatole cinesi dove è finito il mio contorno? Si è fuso con gli altri, sotto i fumi del piacere effimero, mascherato da coerenza, o forse egoismo.
Cala il sipario, la musica finisce, i colori si ritirano in silenzio.
Mi disperdo nel canto.
Nel frattempo tanti personaggi vagano in cerca della propria storia da rappresentare.
Ma sotto il vestito cosa rimane?

domenica 30 ottobre 2011

Filosofismi.

Nasciamo da soli. Moriamo da soli. E mentre siamo qui siamo assolutamente, completamente sigillati nei nostri corpi. La nostra unica esperienza del mondo esterno passa per la distorta percezione che ne abbiamo.
Ecco, a volte non so cosa darei per sbarazzarmi di tutti questi filtri, di tutte le lenti con cui guardo il mondo. Eliminando questo velo troverei la verità? O troverei solo una grande distesa bianca, un agglomerato del nulla? E a quel punto cosa me ne farei di una scoperta del genere? Tornerei a indossare le mie lenti? Quanta insoddisfazione alberga nell'essere umano.

venerdì 28 ottobre 2011

Bolle.

Se le bolle di sapone non fossero così fragili le userei per accorciare distanze, raccogliere meraviglia dagli occhi, regalare tutte quelle cose che non possono essere contenute in un pacchetto, come i sogni,  l'aroma del caffè al mattino, pinze per prendere la gente dal lato giusto. E sveglie, ma non di quelle fastidiose che distruggono i sonni, ma quelle per aiutare a (ri)alzarsi  chi non riesce a farlo da sè.

sabato 22 ottobre 2011

PeriMEtrie.

Ci sono giorni in cui la mia forma e contorni del mio corpo mi stanno terribilmente stretti. Le responsabilità, le cose che si presuppone io debba sapere e gli impegni si accumulano come scorie, col risultato che vorrei non essere io a contenerle tutte.
Ci sono giorni in cui uscire da me stessa diventa un'impresa, e il cerchio dei pensieri mi stringe la testa, il collo, il diaframma. Mi chiedo se ci sia un interruttore da qualche parte del cervello, che riesca a spegnerlo senza ucciderlo. Mi chiedo se ci sia un anello debole nel contorno di me, una piccola via di fuga, un' uscita di emergenza verso non so nemmeno cosa di preciso, ma qualcosa che è altro da me. E se ci penso dev'essere la stessa via di fuga che permette agli altri di entrarmi dentro senza che io me ne accorga.

sabato 15 ottobre 2011

Molto spesso una crisi è tutt'altro che folle.

Quante volte il caso ha l'abitudine di infilarsi nella nostra vita rimescolando le carte e facendoci sentire come semplici corpi in balia delle onde. E finiamo puntualmente col volere una spiegazione. Perchè noi esseri umani pretendiamo una spiegazione per ogni minima cosa. Diffidiamo da tutto ciò che non ha contorni netti, mentre amiamo le definizioni e gli automatismi. A scuola odiavo le definizioni. Ci venivano dettate da manuale, parola per parola, e dovevi ripeterle al professore esattamente così, altrimenti significava che non avevi studiato.
Amavo invece quando la prof. ci leggeva un testo e lo commentava dal suo punto di vista, confrontandosi con noi. Era un bel modo per stimolarci a pensare col nostro cervello, ed è proprio questa la cosa più importante che va imparata. A nessuno interessa che sappiate parafrase la Commedia di Dante, se non riuscite a farla vostra in un qualche modo.
Per questo dovremmo apprezzare il caos del caso. Perchè anche se si diverte a cercare di abbattere le certezze, allo stesso tempo ci da il modo di fermarci a pensare, allontanandoci per un attimo dal nostro piccolo mondo impostato. Per decostruirci e ricostruirci.