martedì 28 giugno 2011

Dove sono finiti i bambini che giocano per le strade e vanno in bicicletta?
Tutti su Facebook. Non ci sono più i bambini di una volta.
Non so da dove cominciare quando si tratta di socializzare con gente estranea, non per timidezza, perchè quella passa dopo le prime frasi, ma perchè non sono brava a incuriosire o colpire col carattere che mi è capitato. Se ci fosse la sedia del re della serata, cioè la persona che anima la serata, io non mi siederei di certo li, ma scapperei in un angolo. E la stessa cosa si ripete puntualmente.
Facciamo terapia di gruppo e mi date qualche dritta?

lunedì 27 giugno 2011

Ci sono film in cui vorrei rinchiudermi e buttare la chiave, e ci sono giorni che vorrei buttare e basta.
Ogni tanto mi viene in mente di giocare con le canzoni, e il gioco consiste nel scegliere una canzone e da li far partire una storia nostra, che ovviamente sia attinente alla canzone stessa. Metto su Hallelujah di Jeff Buckley, e vediamo cosa ne esce. Provate anche voi, così, per gioco, poi mi sapete dire.
Che a me le persone che si fanno prendere da innamoramenti repentini nei confronti di canzoni, film o personaggi non reali, piacciono.

Animal farm

Un giorno d'estate capitai in campagna e la sorte volle che fosse proprio il giorno di macellazione del vitello, che dopo aver passato diversi mesi legato nello stesso posto, usciva per l'ultima volta dalla stalla.
Per l'animale, la distanza da percorrere per uscire è una sorta di Miglio Verde, credetemi. Lo sente. E lo sentiva anche la mucca che stava li vicino, probabilmente la madre del bovino in questione. Due pallottole nel cranio, si puliva lo scempio, e gli avvoltoi iniziavano a confabulare riguardo a quale parti comprare e a quanto. Quell'odore di carneficina non lo scorderò mai. Quel sangue che col passare delle ore si seccava sempre di più, neppure. Non lo sto dicendo per farvi vomitare o commuovere. Ve lo sto dicendo perchè quando vi sentite andare in pezzi, in realtà non è ancora finita. Non state ancora andando in putrefazione, non è finita, potete ancora ricomporvi, alla faccia di chi pensa di fare affari con il vostro dolore. Non siete ancora come quel vitello, non è ancora giunto il momento di percorrere il Miglio Verde. Pancia in dentro, petto in fuori, e imparate dagli animali.

domenica 26 giugno 2011

Immagini che ti entrano nel cervello come cavalli di Troia, e ti distruggono dall'interno.
Scende la sera, penso ai mozziconi spenti in cui ci sono almeno 7 minuti della nostra vita bruciati, alle pattumiere in cui vorrei buttare le giornate sprecate, all'idea che mi fa alzare dal letto ogni mattina, al fatto che non imparerò mai a suonare la chitarra come vorrei, a me che vorrei essere altrove, e che altrove potrebbe voler dire altro da me.
A lei che vorrei fosse qui, con i suoi capelli di pensieri neri, a mandarmi affanculo per il fatto che mi sto lagnando.
Capita a fine giornata: pensieri pesanti, testa satura, gambe stanche, accumulo di sostanza di rifiuto verso colleghi, estranei, famiglia, amici. Cena da fare, casa in disordine.
E allora mi butto sul divano e metto del jazz.
Il jazz è un ragazzo anticonvenzionale nell'universo musica. Non nel senso di antisociale, snob o simili. E' uno di quei ragazzi che quando parlano ti suonano strani, ma di quello strano che fa bene all'anima. E di cui apprezzi anche i silenzi, quelli amari, quelli di attesa, quelli durante l'amore, e quelli tra una canzone e l'altra. Non sai esattamente che tipo è, ma probabilmente non lo sa nemmeno lui, odia dare spiegazioni, odia la puntualità, le ricorrenze, ti suona il campanello, ti prende per mano e ti porta non al chiaro di luna come le ballate pop, ma ad ascoltare la brezza. Beve caffè, e se gli chiedi come stai? ti risponde suonando il piano. Ha esperienza di dolore, ma non la ostenta, la affida alla musica, la da in pasto al piano. Ti sfiora il viso, come se fossero tasti di un pianoforte, ama soprattutto quelli neri, le "alterazioni", che danno senso alla melodia, come le zone d'ombra di noi che tendiamo a nascondere.
Penso al jazz, non riesco a spiegarmi, devo proprio?

Altro che colazione da Tiffany

Se c'è un momento della giornata per me sacro, intoccabile, e che va preservato da qualsiasi forma di malumore, ansia, chiasso e invasione della privacy, è la colazione. Caffè, fluido autenticamente benefico, mica come le medicine, che fanno bene ma hanno dei saporacci; e pasta, o biscotti, o torte se ce ne sono, dipende.
Sorseggiare caffè, assaporare il silenzio mattutino, quando il cervello non si è ancora completamente scrollato il sonno di dosso. Questa si che è pace.

In cerca d'autore.

Il talento è fortuna.
Nella vita ci vuole coraggio, diceva Woody Allen.
Se ti senti come un Don Abbondio, smetti di temere i bravi, e riscrivi la storia. Sii protagonista, non figurante della tua storia. Sto cercando di fare del training autogeno, non si vede? Mi è capitato l'autore da due soldi che non sa trovare nuove storie e mi costringe a stare in questo mondo noioso.
O forse è solo cieco, non ha le lenti giuste per riconoscere le belle storie, e non riceve la signorina Fantasia, ma solo prostitute troppo facili a darsi, come sbornia di birra scadente.

sabato 25 giugno 2011

Le persone felici vanno a letto presto, e non da sole.
Ma soprattutto alla mattina c'è chi prepara loro il caffè.

Rincorro parole e sono già senza fiato.

Eravamo al liceo e invece di prendere appunti sulle leggi di Ohm scrivevamo testi di canzoni sul quaderno, sul banco, di quelli tipo E ho le tue mani da lasciarmi accarezzare il cuore
immune da difese che non servono.
Eravamo bambini e giocavamo a impersonare esploratori di mondi improbabili, ignari dei futuri che avrebbero presto messo fine alle nostre risate. E assimilavamo quantità industriali di cartoni animati, colpa loro, per tutte le aspettative che hanno preso forma nella mia testa riguardo alle relazioni sociali, e riguardo al dover essere sempre i migliori, quelli che vincono.
Lo sai che Pirandello e Orwell mi hanno aperto la mente? Lo sai che ho finito l'università e non ho idea di cosa fare, di dove devo firmare, di tutti i requisiti che devo possedere per essere all'altezza?
Lo sai che ogni tanto penso alle rane delle sere estive, e a quando dormivamo nello stesso letto senza che a nessuno facesse strano?
E tu guardi ancora i film di Coppola? O hai il grigiore delle aule di tribunale in cui lavori, delle città del nord, dei vetri appannati, delle bugie che ci si racconta quando ci si rivede dopo anni, e si parla delle solite cose.

Grammi giornalieri di bugie.

Se fossimo più sinceri con noi stessi e ci guardassimo con lenti tarate sui nostri desideri più nascosti, animali e inaspettati, potremmo renderci conto di tutte le menzogne che raccontiamo a noi stessi e agli altri nell'arco di giorni, mesi, anni. 
Amici che continuiamo a sopportare, nonostante siano cambiati contesti e non siamo più ragazzi del liceo; rapporti logorati dalla routine, il cui collante è il sesso, o il conto in banca o il fatto che ormai è uno di famiglia. Università di cui si continuano a pagare tasse, nonostante si prepari un esame all'anno, e il nostro cervello non è proprio portato per la meccanica razionale.
Penso che questa sia una condizione insita nell'uomo, che eviti di farci impazzire pensando a tutti i nostri limiti, che ci faccia dormire alla notte. 
Ma non vivresti meglio facendo emergere finalmente la verità?