domenica 26 giugno 2011

Capita a fine giornata: pensieri pesanti, testa satura, gambe stanche, accumulo di sostanza di rifiuto verso colleghi, estranei, famiglia, amici. Cena da fare, casa in disordine.
E allora mi butto sul divano e metto del jazz.
Il jazz è un ragazzo anticonvenzionale nell'universo musica. Non nel senso di antisociale, snob o simili. E' uno di quei ragazzi che quando parlano ti suonano strani, ma di quello strano che fa bene all'anima. E di cui apprezzi anche i silenzi, quelli amari, quelli di attesa, quelli durante l'amore, e quelli tra una canzone e l'altra. Non sai esattamente che tipo è, ma probabilmente non lo sa nemmeno lui, odia dare spiegazioni, odia la puntualità, le ricorrenze, ti suona il campanello, ti prende per mano e ti porta non al chiaro di luna come le ballate pop, ma ad ascoltare la brezza. Beve caffè, e se gli chiedi come stai? ti risponde suonando il piano. Ha esperienza di dolore, ma non la ostenta, la affida alla musica, la da in pasto al piano. Ti sfiora il viso, come se fossero tasti di un pianoforte, ama soprattutto quelli neri, le "alterazioni", che danno senso alla melodia, come le zone d'ombra di noi che tendiamo a nascondere.
Penso al jazz, non riesco a spiegarmi, devo proprio?

1 commento:

  1. Io non conosco il jazz. Lo ascolto solo quando entro nella mia pizzeria preferita, lì hanno il jazz per sottofondo musicale. Quando sento la parola "jazz" oltre alla mia pizzeria, mi viene da pensare a quei gatti randagi degli Aristogatti, hai presente? Quelli che cantavano: tutti quanti voglion fare il jazz, perché resister non si può, al ritmo del jazz!
    Cavolate a parte, la descrizione che ne hai fatto tu è davvero, ma davvero, bellissima.

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