domenica 18 settembre 2011

Baudelaire- Spleen e ideale

Amo il ricordo di quelle epoche nude, le cui statue Febo si compiaceva indorare. Allora uomo e donna, nella loro mobilità, godevano senza menzogna e senza ansia; il cielo amoroso carezzava loro la schiena, ed essi così esercitavano le virtù del loro nobile corpo. Cibele, allora feconda di ricchi prodotti, non trovava che i figli le fossero di peso: lupa dal cuore gonfio di generosa tenerezza, nutriva l'universo con le sue brune mammelle. L'uomo vigoroso, forte, elegante, godeva del diritto d'andar fiero delle beltà che lo proclamavano re: frutti indenni da qualsiasi oltraggio, vergini di fenditure, la loro carne liscia e ferma chiamava i morsi.
Il Poeta oggi, se desidera immaginare quelle native grandezze là dove si mostrano le nudità dell'uomo e della donna, sente calare sulla sua anima un freddo tenebrore dinanzi a un quadro nero, spaventoso. O mostruosità piangenti il proprio abito! tronchi ridicoli, torsi degni di maschere; magri, poveri corpi torti, ventruti e flaccidi, che il dio dell'Utile, implacabilmente sereno, strinse, sin dalla nascita, nelle sue fasce bronzee. E voi donne, pallide ahimè come ceri, che il vizio insieme consuma e nutre, voi vergini, che trascinate l'eredità del peccato materno e tutte le brutture che porta la fecondità.

Noi abbiamo, è vero, noi nazioni corrotte, bellezze ignote a quei popoli antichi: visi smangiati dalle cancrene del cuore, bellezze fiorite dalla spossatezza. Ma queste invenzioni delle nostre ultime muse non impediranno mai alle razze malsane di rendere un omaggio profondo alla giovinezza - alla santa giovinezza, dall'aria semplice, dall'occhio limpido e chiaro come un'acqua corrente, che, incurante come l'azzurro del cielo, come gli uccelli e i fiori, sparge su tutto i suoi profumi, le sue canzoni e il suo dolce calore.


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